Pizzica i fianchi di una collega: niente licenziamento

Per i giudici si tratta di un contegno scorretto ma non catalogabile come molestia sessuale

Pizzica i fianchi di una collega: niente licenziamento

Pizzicare i fianchi di una collega, che mostra chiaramente di non gradire, è contegno sicuramente scorretto ed offensivo, ma non catalogabile come molestia sessuale e, quindi, non punibile col licenziamento.
Questa la prospettiva tracciata dai giudici (ordinanza numero 20420 del 21 luglio 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso sorto a seguito di quanto successo in una ‘onlus’.
A dare il ‘la’ alla vicenda è quanto raccontato da una dipendente, la quale riporta, in sostanza, di essere stata palpeggiata, nonostante l’opposizione mostrata, da un collega, davanti alla ‘macchinetta marcatempo’, alla fine di un turno, e, peraltro, alla presenza di un altro collega.
L’episodio ha un doppio strascico. Da un lato, in ambito penale, il lavoratore, additato dalla donna come il responsabile del palpeggiamento, finisce sotto processo con l’accusa di molestie sessuali, ma, come richiesto anche dalla Procura, il Giudice per le indagini preliminari opta per l’archiviazione, con conseguente chiusura del procedimento. Da un altro lato, quello lavorativo, l’uomo accusato dalla collega si ritrova messo alla porta dalla ‘onlus’, licenziato proprio a causa della condotta tenuta nei confronti della donna, condotta ritenuta gravissima, in quanto catalogata come molestia sessuale, dal datore di lavoro.
A sorpresa, però, per i giudici di merito, ricostruiti i fatti, è lampante l’illegittimità del drastico provvedimento adottato dalla ‘onlus’. Di conseguenza, il lavoratore ha diritto, secondo i giudici, non solo ad essere reintegrato ma anche ad ottenere una indennità corrispondente alle retribuzioni non percepite e, infine, a vedersi versato un adeguato ristoro economico per il danno d’immagine subito a causa della natura ingiuriosa del licenziamento.
In particolare, per i giudici d’Appello, i fatti oggetto della contestazione, ossia alcuni pizzicotti sui fianchi e non un vero e proprio palpeggiamento, sono – alla luce del quadro probatorio acquisito – inesistenti e sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo disciplinare, non avendo avuto l’effetto di violare la dignità della persona, cioè la lavoratrice, attraverso la creazione di un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo, né tantomeno sessualmente prevaricatorio. E, comunque, aggiungono i giudici di secondo grado, si tratta di fatti che possono essere puniti con una sanzione conservativa, poiché la condotta inappropriata tenuta dal lavoratore nei confronti della collega ha denotato un semplice rapporto di consuetudine nel saluto fra le persone e può essere agevolmente incluso nel contegno scorretto e offensivo verso i colleghi, e non nell’ambito della sanzione espulsiva prevista per i gravi comportamenti lesivi della dignità della persona.
Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla ‘onlus’ e mirato a presentare la condotta inappropriata tenuta dal lavoratore come una molestia sessuale in piena regola.
Anche per i magistrati di terzo grado, come già per i giudici d’Appello, difatti, per molestia sessuale si può intendere quel comportamento indesiderato, posto in essere per ragioni connesse al sesso, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di un individuo e che può creare un clima intimidatorio, degradante, umiliante od offensivo.
Ragionando in questa ottica, il lavoratore sotto accusa ha tenuto una condotta disciplinarmente rilevante ma – alla luce della ricostruzione probatoria dell’andamento dei fatti – non tale da configurare una condotta di molestia sessuale e, dunque, un contegno così grave da richiedere l’immediata espulsione dall’ambiente di lavoro.
Ancora più in dettaglio, a fronte del contesto ambientale, la condotta tenuta dal lavoratore, respinta dalla collega in quanto comportamento del tutto indesiderato, non risulta che abbia rivestito connotazione sessuale né che abbia creato una situazione intimidatoria, ostile, degradante od umiliante né risulta caratterizzato dagli elementi peculiari della nozione di molestie sessuali.
Tirando le somme, per i magistrati di Cassazione, come già per i giudici d’Appello, ci si trova di fronte ad un comportamento disciplinarmente rilevante ma sanzionabile con un provvedimento di carattere conservativo. Nello specifico, l’azione compiuta dal lavoratore nei confronti della collega va catalogata come contegno scorretto e offensivo, punibile con una sanzione conservativa, mentre va esclusa, chiosano i magistrati, la riconducibilità alla previsione della sanzione espulsiva, dettata per i gravi comportamenti lesivi della dignità della persona.

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