Azione collettiva di protesta dei lavoratori: nullo il licenziamento

La forma utilizzata, ossia l’astensione dal turno con espletamento delle mansioni in orari differenti, integra comunque una azione collettiva tutelata dalla Costituzione

Azione collettiva di protesta dei lavoratori: nullo il licenziamento

L’azione collettiva di protesta dei lavoratori, anche se non configurabile come sciopero a fronte della mancanza di astensione dalla prestazione lavorativa, quando sia finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoro o al rispetto dei contratti collettivi e non trasmodi in atti violenti o danneggiamenti, costituisce forma di autotutela tutelata dalla Costituzione, sicché il conseguente licenziamento è per tale ragione nullo in quanto poggiato su finalità antisindacali.
Questo il principio fissato dai giudici (sentenza numero 12269 del 9 maggio 2025 della Cassazione), chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto in Campania e relativo ad un’azione di protesta di alcuni lavoratori del settore trasporti.
Riflettori puntati, in particolare, su un dipendente sanzionato per avere svolto un turno diverso da quello disposto dall’azienda.
Per i giudici d’Appello, pur escludendo che la condotta sanzionata rappresenti una forma di esercizio del diritto di sciopero recesso, essa va comunque inquadrata nell’ambito della previsione della contrattazione collettiva applicabile che punisce con sanzione conservativa, in via esemplificativa, il lavoratore che non esegua il lavoro secondo le istruzioni ricevute, oppure lo esegua con negligenza. Esclusa altresì la ricorrenza di una insubordinazione.
Per i magistrati di Cassazione è corretta la visione proposta dal lavoratore e mirata a sostenere la piena legittimità della condotta collettiva messa in atto.
Per il lavoratore, come per i suoi colleghi, si è trattato di una legittima forma di protesta collettiva, integrante esercizio del diritto di sciopero.
In premessa, i giudici osservano che la condotta addebitata al singolo lavoratore non ha potuto dare adito ad una mancanza di natura disciplinare del singolo lavoratore, ma ha rappresentato una azione collettiva di inosservanza del turno di lavoro di scorrimento disposto dal datore di lavoro, poiché messa in atto da ben undici lavoratori, cioè da tutti gli addetti per quel mese ed in quel turno, allo scopo di contestare la volontà datoriale di non corrispondere più una specifica indennità. Quindi, la natura collettiva dell’azione messa in atto dai lavoratori risulta dalla dimensione collettiva della questione, dalla concordanza delle plurime condotte dei lavoratori, dal contesto in cui si sono svolti i fatti, dalla sequenza cronologica degli eventi e dalla finalità delle azioni messe in atto dai lavoratori.
Ciò detto, i magistrati partono, in premessa, da un dato: lo sciopero costituisce un atto a forma libera, che non richiede la proclamazione da parte del sindacato, configurando esso un diritto la cui titolarità spetta individualmente ad ogni lavoratore, mentre il solo esercizio deve esprimersi in forma collettiva. In ogni caso, non vi può essere sciopero senza l’astensione almeno parziale dal lavoro, sicché lo sciopero deve concretarsi nell’astensione quanto meno di una parte della prestazione lavorativa, mentre nel caso in esame nessuna astensione parziale si è prodotta avendo i lavoratori eseguito per intero l’attività lavorativa per la quale sono stati pure retribuiti in conformità alla prestazione resa e a termini del contratto (al di fuori, però, dei turni a scorrimento e senza la relativa indennità previsti invece dal contratto aziendale).
Tuttavia, sebbene non rientri nella nozione di diritto di sciopero, deve comunque riconoscersi che la forma di autotutela collettiva messa in atto dai lavoratori non possa costituire un illecito civile, di guisa che sono illeciti i licenziamenti in oggetto perché intimati per finalità antisindacali, chiariscono i magistrati di Cassazione. Ciò anche perché l’azione collettiva messa in atto dai lavoratori si è dispiegata nell’ambito del fisiologico conflitto collettivo, attesa la pretesa della società di non rispettare la contrattazione collettiva pur formalmente e sostanzialmente in vigore; pretesa alla quale è seguita la protesta collettiva dei lavoratori.
Per meglio inquadrare la vicenda, infine, i magistrati ricordano che la Costituzione tutela non solo lo sciopero ma anche l’azione collettiva e l’attività sindacale in cui essa si estrinseca, posto che il diritto di sciopero è soltanto una delle manifestazioni e delle forme di autotutela collettiva dei lavoratori in quanto parte della più ampia categoria delle azioni collettive protette dall’ordinamento. Nel concetto di libertà sindacale, protetta dalla Costituzione, difatti, è insita una libertà ampia che spazia dalla scelta delle forme organizzative alla scelta delle modalità dell’azione di autotutela, se è vero che il sindacato trova proprio nel conflitto e nelle lotte rivendicative la sua ragion d’essere. Inoltre, va considerato che, anche per l’azione collettiva diversa dallo sciopero, una volta che nel suo concreto attuarsi essa sia comunque avvenuta per uno dei fini collettivi chiariti dalla Corte Costituzionale, valgono i medesimi limiti dettati per lo sciopero, costituiti dal rispetto delle posizioni soggettive concorrenti su un piano prioritario o quantomeno paritario, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale nonché la libertà dell’iniziativa economica cioè l’attività imprenditoriale quale concreto strumento di realizzazione del diritto costituzionale al lavoro per tutti i cittadini.
Per cui, la forma di protesta in esame (costituita dall’astensione dal turno con espletamento delle mansioni in orari differenti) integra comunque una forma di azione collettiva tutelata dalla Costituzione, anche perché non ha (e in concreto non ha avuto) alcuna attinenza con manifestazioni illecite dell’attività sindacale (come il picchettaggio, l’occupazione di azienda, il sabotaggio, il boicottaggio, il blocco delle merci). Pertanto, l’esercizio di un’azione collettiva protetta dall’ordinamento, che senza trasmodare in atti violenti o in danneggiamenti, persegua la finalità di ottenere migliori condizioni di lavoro o il rispetto dei contratti collettivi, non può dare luogo ad n un licenziamento per giusta causa.

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