Assegno divorzile: può contare anche la sproporzione tra le pensioni percepite dai due ex coniugi

Necessario però che la sproporzione sia riconducibile alle rinunce professionali compiute dall’ex coniuge che richiede l’assegno divorzile

Assegno divorzile: può contare anche la sproporzione tra le pensioni percepite dai due ex coniugi

Assegno divorzile possibile se vi è un’evidente sproporzione tra le pensioni percepite dai due ex coniugi. Ciò, però, a patto che tale sproporzione sia riconducibile alle rinunce professionali compiute dall’ex coniuge che richiede l’assegno.
Questa la prospettiva adottata dai giudici (ordinanza numero 24759 dell’8 settembre 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura del contenzioso tra due ex coniugi, hanno riconosciuto il diritto della donna a percepire l’assegno divorzile – 350 euro al mese, per la precisione – a fronte del più ricco trattamento pensionistico percepito dall’ex marito.
Concordi, per la verità, già i giudici di merito: per loro, a seguito del divorzio tra moglie e marito, va riconosciuto alla donna il diritto di percepire un assegno mensile di 350 euro più una quota del ‘TFR’ percepito dall’uomo. Ciò perché non è emerso uno squilibrio, tra i patrimoni delle parti, riconducibile ai diversi ruoli assunti nell’organizzazione familiare, ma, ad avviso dei giudici d’Appello, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativa è giustificato dal rilevato squilibrio tra i trattamenti pensionistici degli ex coniugi – 1.700 euro mensili la donna e 2.600 euro mensili l’uomo –riconducibile, ecco il passaggio fondamentale, al personale ed esclusivo ruolo svolto dalla donna nell’accudimento dei figli, che aveva comportato per lei la rinuncia per circa un ventennio allo svolgimento, quale impiegata dell’Ispettorato della Motorizzazione Civile, della ulteriore attività di esaminatrice che avrebbe comportato la percezione di un’indennità aggiuntiva quantificata, in sede testimoniale, in 300-400 euro mensili. E, dall’altro lato, si è appurato che l’uomo ha potuto mettere a frutto l’esperienza lavorativa maturata nel corso del matrimonio: egli, infatti, entrato in una società come progettista meccanico, è poi diventato, dedicandosi a tempo pieno alla sua professione, responsabile dei processi di informatizzazione dell’azienda, effettuando trasferte in Italia ed all’estero, assentandosi da casa per periodi di 10-15 giorni. E, peraltro, l’uomo percepisce, anche da pensionato, redditi da contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
Tirando le somme, vi sono, secondo i giudici d’Appello, tutti i presupposti per il riconoscimento in favore della donna di un assegno divorzile perequativo, congruamente determinato nell’importo di 350 euro mensili.
Confermato, poi, anche il diritto della donna alla quota del 40 per cento della indennità di fine rapporto maturata dall’ex marito, anche se con l’esclusione delle somme accantonate dall’uomo in un fondo di previdenza complementare, posto che la disposizione normativa riconosce al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota del 40 per cento del ‘TFR’ percepito dall’ex coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro mentre le somme oggetto del fondo previdenziale non sono riconosciute come liquidazione ma come pensione integrativa.
Infruttuose le obiezioni sollevate in Cassazione dall’uomo. Confermato anche in terzo grado, difatti, il diritto dell’ex moglie all’assegno divorzile.
Illuminante il richiamo ai principi secondo cui il diritto all’assegno di divorzio non sorge ove, all’esito dello scioglimento della comunione legale dei beni, la posizione economico patrimoniale e reddituale dei due ex coniugi risulti sostanzialmente paritaria e l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale.
A questi principi è stata data una corretta chiave di lettura in Appello, sanciscono i giudici di Cassazione, poiché si è accertata, ai fini del riconoscimento dell’assegno in funzione perequativa-compensativa, l’esistenza, al momento del divorzio, di uno squilibrio economico tra gli ex coniugi riconducibile proprio all’organizzazione familiare durante la vita in comune e si è posto rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità.
Utile, in questa ottica, anche il richiamo alla perdita dell’indennità aggiuntiva subita dalla donna sulla base della complessiva e coerente ricostruzione dell’organizzazione familiare.

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